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DEMANSIONAMENTO INFERMIERISTICO: COME RICONOSCERLO E ANALISI DEGLI ASPETTI NORMATIVI

DEMANSIONAMENTO INFERMIERISTICO: COME RICONOSCERLO E ANALISI DEGLI ASPETTI NORMATIVI

 

Il fenomeno del demansionamento è spesso sottovalutato, gli stessi colleghi tendono a sminuirlo o a giustificarlo, non considerato per quel che è: un vero e proprio attentato alla professionalità dell’infermiere. Molto spesso i colleghi disconoscono il demansionamento, non si forniscono loro né i mezzi né le conoscenze tali per riconoscerlo, combatterlo e contrastarlo; anzi, chi combatte in questo senso, spesso viene schernito. 

Proviamo, quindi, con quest'articolo, a fare un pò di chiarezza e a capire quali sono i "confini normativi"  del demansionamento infermieristico. 

 

Per demansionamento si intende la privazione del lavoratore delle mansioni pattuite, adibendolo a mansioni inferiori, ovvero sottraendo (totalmente o parzialmente) compiti qualitativamente (e talora anche quantitativamente) rilevanti (fonte Altalex).

 

Fino a pochi anni fa il lavoratore poteva contare su di un "esimente giuridico", si fa riferimento a quanto enunciato nell'allora art. 2103 del Codice Civile, che recitava: 

" Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansini equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione...

Lo stesso art. 2103 proseguiva facendo riferimento al potere di poter variare le mansioni rispetto a quelle assegnate all'assunzione, (jus variandi),  tale variazione doveva essere configurata o in maniera orizzontale (attribuzioni di mansioni equivalenti), o in maniera verticale con il conferimento di mansioni superiori.

Veniva quindi esclusa a priori la possibilità di assegnare il lavoratore a mansioni  "minori" , fatta eccezione per i casi di lavoratori divenuti inabili a seguito di infortunio o malattia - legge n.68 del 1999 - ovvero le lavoratrici in gravidanza nello svolgimento di attività rischiose – D.Lgs. n.151 del 2001 - .

Solo queste erano quindi le uniche due ipotesi legislative che "permettevao" al lavoratore di esguire mansioni minori rispetto al proprio profilo professionale.

 

Recentemente, il D. Lgs. 15 giugno 2015, n. 81 ha modificato la dicitura dell' Art 2103 del c.c., rivedendo  al ribasso le mansioni pretendibili dal lavoratore. L' art. 2103 Codice Civile modificato recita: "il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte. In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale."

Ci troviamo di fronte ad una vera e propria modifica in pejus dell'Art. 2013 in questione, con il superamento dello jus variandi previsto nella prcedente scrittura. 

 

La recessione professionale era, quindi, precedentemente configurabile esclusivamente nel caso in cui “venga di fatto provato che il demansionamento sia disposto con il consenso del lavoratore finalizzato ad evitare il licenziamento reso necessario da una situazione di crisi aziendale o a seguito di accordi sindacali stipulati nel corso delle procedure di mobilità che stabiliscano l’assegnazione dei lavoratori in esubero allo scopo di evitare il licenziamento(Legge n. 223 del 1991).

 

La visione sindacale resta comunque applicabile tenendo conto del fatto che, sebbene la disciplina giuridica in tema di mansioni e qualifiche sia contenuta nell' art. 2103 c.c., la loro concreta individuazione viene effettuata mediante la contrattazione collettiva.

 

Un’ulteriore "configurabilità lecita del demansionamento" si è potuta ravvisare in una recente sentenza del Tribunale di Brindisi (1306/2017): può quindi, sinteticamente, affermarsi che il datore di lavoro può adibire a mansioni inferiori il lavoratore a due condizioni, concorrenti:

 

  • Che si tratti di impegno di breve durata e di carattere occasionale;
  • Che detto impegno consenta, comunque, l’espletamento delle mansioni proprie della qualifica di appartenenza in maniera prevalente ed assorbente.

 

le motivazioni di cui sopra, aprono le porte ad un uso che potremmo definire "estemporaneo" di demansionamento, come, tra l’altro, era già riscontrabile nell’ articolo 49 dell'ormai superato Codice Deontologico degli infermieri del 2009, che recitava:

 

"l’infermiere, nell’interesse primario degli assistiti, compensa le carenze e i disservizi che possono eccezionalmente verificarsi nella struttura in cui opera"

 

"Lo stesso interesse primario verso gli assistiti dovrebbe però portare l’operatore sanitario suindicato, di fronte a carenze o disservizi, a darne comunicazione ai responsabili professionali della struttura in cui opera o a cui afferisce il proprio assistito"

(cit. Art. 48 Codice Deontologico 2009).

 

Con questa sentenza si iniziano a configurare quelli che sono i primordiali contorni del demansionamento. 

Molto c'è ancora da fare e, nonostante le numerose sentenze di cassazione a favore e le innumerevoli iniziative nazionali e locali del NurSind, in molte aziende il demansionamento infermieristico continua ad essere all'ordine del giorno. 

 

"Gli infermieri non sono i fac totum del sanità"

 

Migliaccio Giovanni